Ancora una volta la politica prova a mettere le mani sulle
scarse risorse per la formazione continua gestite dai Fondi Interprofessionali
(siamo ormai a circa 900 Milioni l’anno per 10 milioni di lavoratori, al netto
del prelievo ormai fisso di 120 Milioni) per utilizzarle per le politiche
passive, in questo caso “quota 100” (qui i Fondi potrebbero abbatterla a quota
97 o addirittura 94 in qualche caso) e per la formazione dei disoccupati nell'ambito
del reddito di cittadinanza.
La poca documentazione che filtra in merito a tali scelte
indica, innanzitutto nella terminologia, che resta ancora grande la confusione
nelle teste dei legislatori tra Enti Bilaterali, Enti Bilaterali per la
Formazione, Fondi Interprofessionali, Casse etc.
Ma la cosa che risulta ancora più evidente è come anche stavolta
queste decisioni vengano prese senza una adeguata interlocuzione.
Questo non
solo perché sicuramente il Governo non la cerca (né d'altronde neanche i
precedenti lo hanno mai fatto in maniera convinta e sistematica), ma anche
perché le Parti Sociali che promuovono gli stessi Fondi hanno un atteggiamento
non omogeneo e spesso poco consapevole, anche a livello tecnico – normativo dello
strumento a loro disposizione e d'altronde non sono del tutto contrarie alle
politiche passive che sono per loro meglio comprensibili (e redditizie sotto il
profilo del tesseramento).
Quindi chi difende i Fondi Interprofessionali come l’unico strumento
rimasto per sviluppare politiche attive del lavoro e di sviluppo dell’imprese? In
questo momento sostanzialmente nessuno, tanto meno imprese e lavoratori che purtroppo
ne hanno scarsissima conoscenza e, soprattutto, non capiscono che si tratta di
un loro diritto (pagato peraltro) e non ne comprendono fino in fondo le
possibilità.
In tutto questo gli operatori del comparto della formazione,
che pure sono parte di un sistema ampio ma allo stesso tempo molto omogeneo per
tipologia di lavoro, finalità, metodi, organizzazione, etc. non sono mai
riusciti ad organizzarsi in forma di una rappresentanza credibile verso le
Istituzioni e, perché no, anche verso i Fondi stessi.
A mio parere è arrivato invece il momento di organizzarsi.
Inutile pubblicare articoli sul web pieni di lamentele, bisogna agire,
coordinarsi e chiedere un tavolo di confronto a tutti i livelli. Ci sono già
alcune Associazioni di Enti di Formazione ed i professionisti della formazione,
ma quello che manca è un luogo di confronto (potremmo definirlo un “Forum”) e
di organizzazione delle iniziative, magari in concerto con altre categorie (es.
gli Ordini Professionali, le Associazioni di professionisti non ordinistici,
etc.) e quelle Parti Sociali che, in totale autonomia politica, vogliano
accompagnarne l’azione verso il Governo.
Invito quindi tutti i rappresentanti di questi organismi a
mettersi in contatto, organizzarsi e creare momenti di incontro e di scambio sui temi delle
politiche attive del lavoro.
Per questa iniziativa non è quindi importante definire “chi
comanda” (o meglio “chi si mostra”), elemento che finora ha bloccato molte battaglie
importanti, ma organizzare dissenso e proposte in modo organico nel rispetto
delle singole individualità. Non è facile, ma se ci pensiamo bene, tutti quanti
la pensiamo allo stesso modo sull'importanza della formazione continua e
professionalizzante per i lavoratori occupati.
Quindi basta piangerci addosso, organizziamoci e facciamoci
sentire, non solo per la nostra professionalità, ma anche per lo sviluppo del
Paese e per non perdere questo prezioso patrimonio utile allo sviluppo ed all'innovazione
del nostro tessuto imprenditoriale.