sabato 16 maggio 2020

Il Decreto “Rilancio” parla di formazione ma le toglie quasi tutte le risorse

Pubblicato il 16/5/2020 sulla base della bozza, emendato il 22/05/2020 sulla base del testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Il tanto sospirato Decreto per il rilancio dell’economia e del lavoro in Italia dopo il Covid-19, approvato nel Consiglio dei Ministri del 13 maggio scorso è un poderoso strumento dotato ben 266 articoli. Per quanto riguarda la formazione, l’Art. 88 prevede l’attivazione di un “Fondo Nuove Competenze” costituito presso l’Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro (ANPAL), con una dotazione iniziale di 230 milioni di euro a valere sul Programma Operativo Nazionale SPAO (Sistemi Politiche Attive per l’Occupazione). Questo Fondo serve a finanziare percorsi formativi durante parte dell’orario di lavoro che derivano da intese tra le Parti Sociali relative alla rimodulazione dell’orario stesso per mutate esigenze organizzative e produttive dell’impresa. Il Fondo copre gli oneri relativi alle ore di formazione, comprensivi dei relativi contributi previdenziali e assistenziali. A tale Fondo possono partecipare, con una quota delle risorse disponibili nell’ambito dei rispettivi bilanci e previa intesa in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, i Programmi Operativi Nazionali e Regionali di Fondo Sociale Europeo, i Fondi Paritetici Interprofessionali nonché, per le specifiche finalità, il Fondo per la formazione e il sostegno al reddito dei lavoratori.
Su questa parte, già esiste una perplessità di fondo sul ruolo dell’ANPAL in quanto ente erogatore di risorse di Enti terzi già preposti esattamente allo stesso ruolo, con il rischio di non poter aggiungere nulla a quanto già si fa, ma anzi, di rallentarlo e complicarlo ulteriormente.
Si spera dunque che del Decreto da emanare entro sessanta giorni dalla entrata in vigore del decreto “Rilancio”, saranno individuati criteri e modalità sostenibili e più razionali di applicazione della misura e di utilizzo delle risorse.
Tuttavia un elemento meno evidente del Decreto, ma forse il più “letale”, è l’Art.126 che parla implicitamente di formazione, perché prolunga la sospensione del versamento dei contributi INPS a carico delle imprese, già attiva da aprile 2020, fino al 16 settembre 2020. All’interno di tali contributi è compreso lo 0,30% che dal 2003 può essere destinato ai Fondi Interprofessionali. Normalmente questo importo viene scorporato dall’INPS a valle dei versamenti e versato ai Fondi Interprofessionali scelti dalle imprese con un ritardo medio di circa 6 mesi rispetto alla data di pagamento del relativo F.24 da parte dell’impresa.
Possiamo quindi immaginare che i Fondi Interprofessionali non incasseranno il periodo aprile – agosto 2020 (cioè ben 5 mesi di versamenti) prima del marzo 2021. Inoltre ovviamente è prevista un’ampia rateizzazione di questi contributi arretrati e, com’è prassi, l’INPS versa queste somme ai Fondi solo dopo che la rateizzazione si è conclusa per cassa, di solito tramite un c.d. “saldo” che viene versato nel novembre dell’anno successivo a quello della chiusura per cassa. C’è quindi il rischio concreto che una buona parte del 50% dei versamenti previsti per il 2020 giunga ai Fondi nel 2022 avanzato.
A tutto questo dobbiamo aggiungere la flessione complessiva dei versamenti dovuta al grande mote ore di cassa integrazione (durante la quale lo 0,30% non viene versato) e, banalmente, alla perdita di posti di lavoro a causa della crisi.
I Fondi sono già corsi ai ripari facendo slittare dai 6 ai 9 mesi le scadenze degli avvisi, dimezzando di fatto le risorse disponibili per il 2020 e “spalmandole” verso il 2021.
Ci chiediamo però se chi ha redatto queste norme si sia reso conto fino in fondo che sta chiedendo molto ai Fondi nello stesso momento in cui gli sottrae un importantissimo flusso di cassa. Proprio nel momento di cui la formazione dovrebbe essere la leva principale della ripresa e non solo un “parcheggio” come purtroppo, tristemente e per l’ennesima volta, si rileva dal’Art.88.
I Governo quindi si deve ricordare che, se vuole utilizzare i Fondi  Interprofessionali per le politiche di “Rilancio” questi soggetti devono essere opportunamente sostenuti. A titolo di esempio nel 2004 il Governo sostenne i Fondi compensando in parte la diminuzione dello 0,30% (che fu portato da Tremonti allo 0,10%) con un versamento ad hoc, che fece recuperare la metà di quanto perso.
In una fase di emergenza, in cui persino la UE è più tollerante verso gli “aiuti di stato”, potremmo con un altro piccolo sforzo portare a casa le risorse per compensare il gap e rilanciare veramente la nostra “economia della conoscenza”.